16 aprile del 1961, a Torino, si gioca il derby d’Italia. Juventus-Inter. Gli spettatori sono circa 61 mila, tanti sono i biglietti venduti per un incasso da record. Non c’è molto spazio sugli spalti. Infatti ad un certo punto alcuni spettatori sono a ridosso del campo di gioco, una situazione grottesca e imbarazzante. La partita viene sospesa per una decina di minuti. Poi c’è il tentativo di riprendere, ma la situazione non migliora. L’arbitro Gambarotta fa giocare pochi minuti e poi sospende la partita. Il 26 aprile il Giudice Sportivo dichiara la sconfitta a tavolino per 0-2, alla Juve. Il 3 giugno la Caf decide di cancellare la sentenza e far ripetere la partita, intanto l’Inter perde 2-0 a Catania e la Juventus vince lo Scudetto. Nella ripetizione della sfida l’Inter schiererà la Primavera, finirà 9-1 per la Juventus, per i nerazzurri gol di Mazzola, su rigore. Sivori segnerà ben sei gol.
Su Lautaro: “Devo dire che dopo il matrimonio è molto maturato. La fascia ha inculcato quelli che sono i valori più tipici del ruolo. Ha questo grandissimo senso di appartenenza. Nel pre gara, Lautaro è quello che “patisce” di più, è molto teso: dietro questa tensione c’è un sentimento di amore verso il ruolo e verso l’Inter, questa è una cosa molto significativa. In questo momento è un esempio, in campo ma anche durante la settimana“.
Su Dimarco: “Un capitano italiano proveniente dal settore giovanile? Lunedì a Udine, su 22 giocatori c’erano soltanto 3 italiani, i nostri: è evidente che il calcio oggi sia globale, il che rende più difficile che ci siano capitani italiani che arrivino dal settore giovanile. Dimarco è sicuramente uno che personifica tanto la milanesità, è all’Inter fin da ragazzino: lui è veramente un ultras da questo punto di vista, impersonifica i valori dell’Inter. Però, anche per diventare capitano, bisogna andare a scuola: è giusto che lui possa arrivare a farlo quando magari Lautaro va in pensione, per dire una forzatura. In questa Inter sono in tanti a essere meritevoli della fascia“.
Su Facchetti: “Giacinto l’ho ammirato da ragazzino, le prime figurine erano le sue. Andavo a vedere gli allenamenti alla Pinetina negli anni ’66/’67, in quell’Inter dei vari Picchi, Jair, Mazzola, Suarez, Corso… Poi l’ho conosciuto da dirigente, quando lui era presidente dell’Inter all’epoca ero alla Sampdoria e ho avuto modo di confrontarmi. Di lui ho apprezzato il suo modo molto rispettoso di porsi nei confronti degli altri. Anche in campo non era uno che parlava molto, ma esprimeva tutto quello che significava essere capitano, dell’Inter e della Nazionale“.
Su Zanetti: “Zanetti è tutto un esempio, per come cura i particolari, l’alimentazione, non beve, tutt’ora si allena… Per noi è un elemento che, a mio giudizio, nel costruire le strutture societarie, rappresenta una presenza fondamentale: ogni società deve avere al suo interno un ex campione del club. A inizio stagione, quando arrivano i nuovi giocatori, tu puo ianche regalare un libro sulla storia dell’Inter, ma è molto diverso quando un campione ti trasmette qualche concetto importante, qualche esperienza vissuta. Questo senso di appartenenza te lo può dare solo un campione, uno che ha giocato, uno che sa cosa sono sudore e sofferenza. Il paragone con Nedved? Io ho avuto la fortuna di avere entrambi, sono elementi che fanno un lavoro molto prezioso all’interno del club a livello di emulazione, di quello che trasmettono, che nessun’altro potrebbe fare.”